MANICOMI - cimiteri per disordinati intelletti -

Sabato 5 Giugno 2021, le classi del triennio hanno partecipato ad una conferenza organizzata dalla nostra insegnante di storia e filosofia, la prof.ssa Emanuela Catalano e tenuta dal prof. Fabio Milazzo**. Grazie alle sue ricerche, abbiamo avuto l’opportunità di affrontare un pezzo di storia del tutto nuova per noi, apparentemente molto lontana, di cui non avevamo mai letto sui nostri libri di testo: la presenza dell’istituzione del manicomio nel nostro paese.

Nel suo excursus, il relatore ci ha spiegato come nell’antichità, la malattia mentale fosse riconducibile all’intervento di forze soprannaturali e divine e, per questa ragione, veniva “curata” attraverso riti mistico-religiosi. Nel Medioevo, le persone che manifestavano comportamenti ‘bizzarri’ erano considerate invece possedute dal demonio e venivano condannate al rogo. In tal modo, l’anima, una volta liberata dal possesso demoniaco, poteva risalire in cielo. Nella cosiddetta età classica infine, intesa nell’accezione che Michel Foucault dà a questa espressione, il concetto di follia subì un decisivo cambiamento: erano considerati “folli” coloro che rappresentavano una minaccia per la società in quanto istigatori di caos, sovvertitori dell’ordine e che pertanto non venivano sottoposti a cure mediche ma dovevano essere allontanati (come ribadito dalla Legge Giolitti del 1904). Fu proprio in questo periodo che sorsero moltissime case di internamento in tutta Europa, e in Italia, delineando un enorme strumento di potere nelle mani dello stato, attraverso il quale esso decideva, senza utilizzare alcun criterio logico, della vita e della morte delle persone.

La parola “manicomio” deriva dal greco “manìa”, ovvero “pazzia” e “komìon”, cioè “ospedale” e stava a indicare tutte le strutture volte a rinchiudere persone afflitte da malattie mentali, ma anche poveri, vagabondi, mendicanti, criminali, nulla facenti, omosessuali, donne e bambini. Gran parte dei reclusi, infatti, non presentava alcun tipo di disturbo mentale: erano persone che volevano esprimere qualcosa e cadevano nella follia quando questo veniva loro impedito. Tra gli internati, una buona parte era costituita da “pazzi criminali” e soldati di guerra. I primi erano fuorilegge a tutti gli effetti con l’unica differenza che, essendo ritenuti dagli alienisti affetti da vizio mentale, non potevano andare in carcere. Per quanto riguarda i secondi, essi venivano considerati simulatori (persone che fingevano di avere problemi mentali per sfuggire alla guerra) perché, non essendo ancora a conoscenza del “disturbo post-traumatico da stress”, non si comprendeva la causa dei loro comportamenti improvvisi e in quanto tali dovevano essere sottoposti a terapie più intense per essere “smascherati”.

Una volta entrati in questi luoghi, i pazienti venivano spogliati della loro dignità e trattati senza alcun rispetto: essi non erano più degli esseri umani, ma numeri, costretti a vivere in condizioni pietose, disumane e a subire punizioni corporali. All’interno degli istituti manicomiali, regnava la scarsa igiene; i malcapitati che venivano internati iniziavano ad avere comportamenti che non erano propri della loro malattia ma causati dalla “sindrome dell’allontanamento sociale” (avveniva il deterioramento delle abilità sociali, interpersonali e comportamentali dovuto all’effetto dell’istituzionalizzazione a lungo termine e non al disturbo mentale in sé).

Tra le figure nascoste di questo periodo, troviamo l’inventore della pratica che noi oggi conosciamo con il nome di lobotomia. Il medico svizzero Burckhardt aveva compreso che questi disturbi fossero strettamente collegati al cervello ipotizzando che proprio dalle dimensioni fuori dal normale di quest’ultimo, schiacciato dalla scatola cranica, fossero scaturiti i tipici comportamenti disturbanti dei malati. La soluzione a cui giunse fu quella di intervenire sui lobi dei malcapitati esportando le parti di materia grigia in eccesso. Un fanatico sostenitore di questa tecnica fu il direttore del manicomio di Racconigi, il signor Oscar Giacchi che nel 1892 fu il primo a tentare le pratiche di psicochirurgia alla “casa di cura”. Secondo quanto documentato dalle fonti, sembra che le cavie predilette fossero i bambini in quanto, avendo manifestato squilibri mentali già da piccoli, erano ritenuti irrecuperabili. Sicuramente tutti conosciamo Thomas Edison in veste di “inventore della lampadina” ma tra le sue invenzioni spicca quella della sedia elettrica nel 1888, grazie alla quale vennero introdotte le terapie di shock basate sull’induzione di convulsioni mediante il passaggio di corrente elettrica attraverso il cervello. La brutalità di queste terapie non era volta a soddisfare un sadico bisogno di infliggere dolore al diverso bensì alla necessità di mantenere la norma nella società, perciò erano viste come l’unica soluzione possibile in quanto portava a risultati in termini di concretezza calmando gli infermi.

Il tema dei manicomi al giorno d’oggi è ancora considerato come un tabù, qualcosa di ripugnante, di cui non si vuole parlare perché reca scandalo. Per motivi di privacy e rispetto, anche il relatore ha sorvolato sui dettagli riguardanti le storie personali che ha raccolto, ma è proprio da qui che dovremmo ripartire: è importante parlare per non dimenticare. Non dimentichiamo la paziente Rosemary Kennedy che fu solo una delle tante persone ad essere lobotomizzata e la cui “cura” equivalse più ad una “zombificazione” che alla liberazione dalla malattia mentale. Non dimentichiamo il matematico, vincitore del premio Nobel per l’economia, John Forbes Nash che ha dovuto subire per anni l’insulinoterapia in quanto schizofrenico, solo per citare alcuni tra i casi più ‘famosi’. Non dimentichiamo gli errori del passato perché in futuro potremmo essere noi a subirne le conseguenze. Approfittiamo delle testimonianze di chi è ancora in vita per analizzare e riportare alla luce gli orrori di un tempo non poi così lontano perché se c’è una cosa che possiamo affermare e che abbiamo compreso è che la normalità non esiste: essa è segnata da una linea talmente sottile da sembrare quasi effimera. La nostra essenza è fatta di follia ed è grazie ai colori che essa ci mostra che potremo sopravvivere in questo mondo intriso dalla monotonia.

Gli studenti della 4^F hanno partecipato in presenza mentre le altre classi in Zoom con i rispettivi insegnanti per via della normativa anti-Covid; tutti hanno dimostrato grande sensibilità per gli argomenti trattati, interesse, curiosità e partecipazione e hanno avuto, in questo modo, la possibilità di interagire e porre domande al prof. Milazzo. Grazie ancora!

Sofia Miretti

3^F

Liceo Bodoni - Saluzzo

**Il prof. Fabio Milazzo è docente, PhD in “Storia Contemporanea” Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli studi di Messina nonché ricercatore presso l’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea di Cuneo, dove dirige il gruppo di ricerca sulla devianza.